lunedì 1 aprile 2013

Questo scatto è per te.


Subito dopo aver scattato questa foto ti ho pensato.
Non so se è un caso che io abbia fatto questa foto, 
ma in qualche modo mi ricorda noi due. 
Tu serio e misterioso, e più difficile di un puzzle
da risolvere. 
Io confuso e incerto, immobile come una statua 
in tua presenza, non perchè mi intimorivi
ma perchè non sapevo come avresti reagito 
e non lo o ancora.

Si è stato in un momento, subito dopo il click della macchina fotografica
la mia mente è andata a te, alle tue immagini e alle tue parole, e a quella 
parte di te che non sono riuscito ancora a conoscere.

Non appena ti ho pensato un pò la tristezza è arrivata a farmi compagnia, 
non so perchè non ti ho più cercato, e adesso che voglio farlo
mi trattengo, almeno fino al mio rientro. 

Adesso ti lascio (non per sempre si chiaro).
Prometto di scriverti e lo farò, non so perchè non l'ho fatto prima.

A presto!

martedì 26 febbraio 2013

Sguardi al buio


I mostri sotto al letto lo fissavano e lui fissava loro. Stava rannicchiato sul suo piccolo divano grigio, in pigiama e con il suo peluche preferito stretto tra le braccia, un piccolo orso bianco con due bottoni neri come occhi. Ne  i mostri ne il bambino si muovevano, era diventata una gara di sguardi adesso. Il bambino non li chiudeva per il terrore che i mostri uscissero da sotto e il letto. Stringeva sempre di più l'orso a se, sperava che potesse prendere vita e difenderlo. I mostri ridevano e il bambino tremava. L'orso era solo un semplice peluche. La storia durò tutta la notte, il bambino non fece altro che tremare ma non emise neanche un grido per il terrore, l'orso avrebbe gridato volentieri se avesse potuto. I mostri non andarono via molto facilmente. Una lotta quasi senza fine. Un'epica battaglia di soli sguardi e l'orso era l'unico a non poter vedere. Non si sa quale sia stato l'esito di questa lunga lotta, raccontarono solo che l'orso rimase su quel divano con i suoi occhi di plastica. Magari il bambino e i mostri si erano solo allontanati a mangiare un gelato in cucina. Forse, chissà.

domenica 2 dicembre 2012

Mia piccola puzzola

Ciao mi chiamo Valenina e avevo un ragazzo molto carino. Si chiamava Giulio e aveva gli occhi neri, i capelli neri e indossava sempre una maglietta nera. Ascoltava musica molto brutta, almeno per me e giocava a carte tutta sera con gli amici nella mia cucina.
Dopo che facevamo l'amore mi guardava e mi diceva "ti amo piccola puzzola". Io gli sorridevo e gli davo un bacio, poi fumava una sigaretta e  andava a chiudersi in bagno. 
Il mio piccolo Giulio. Lo amavo, e gli sorridevo sempre.
Ma per quale cazzo di motivo doveva chiamarmi puzzola?! Era una cosa che odiavo, lo volevo uccidere quando mi dava della puzzola. Puzzola un animale che puzza. Gli avrei conficcato un coltello in petto o tagliato quella schifosa lingua! 
Però lo amavo.
Ogni giorno mi portava dei fiori a casa, mi sorrideva e mi diceva con quella sua voce da gran uomo d'affari "sono per te puzzola", io gli sorridevo e lo abbracciavo. Era gentile il mio Giulio. 
Ma puzzola non lo sopportavo! Sognavo come poterlo uccidere, avevo pensato a un cacciavite in un occhio, o anche dell'acido in faccia. 
Era bello il mio Giulio.
Quando si sedeva sul divano si toglieva le scarpe e le poggiava vicino alla porta dell'entrata, io mi sedevo accanto a lui e gli facevo qualche massaggio. Belli i suoi piedi, avevano un bel collo quasi non sembravano quelli di un uomo. 
Ma avrei una cosa da confessare: odiavo massaggiargli i piedi, quegli schifosissimi piedi con i peli alle dita! Puzzavano e non riuscivo a respirare, ma gli sorridevo. E li stravaccato su quel divano a guardare la tv aveva anche la compiacenza di scorreggiare, e non una volta che mi chiedesse scusa. Uomo schifoso! Lo odiavo con tutta me stessa. 
Ma io amavo il mio piccolo Giulio, lo amavo. Il mio amore era così grande che un giorno ho deciso di fargli una regalo, un bel regalo.
Una sera gli avevo preparato una cena, era una cena perfetta. La tavola ben sistemata, candele accese, della musica d'atmosfera, c'era anche un vento che spostava la tenda del salotto. E io gli avevo preparato una bellissima sorpresa, solo per lui.
Arrivò a casa con due minuti di ritardo, ma gli sorrisi e lo baciai. Era tutto perfetto. 
si sedette a tavola e gli portai la cena. Pollo all'arancia, e una torta magnifica al cioccolato,avevo fatto tutto io con le mie mani. Io la puzzola!  
Era sazio il mio bel Giulio. Facemmo l'amore, fu meraviglioso quasi vedevo il paradiso. Alla fine Giulio mi disse "ho mal di pancia piccola puzzola, ti amo", gli sorrisi e lo baciai. Si fumò una sigaretta e andammo a dormire. Adesso gli sto accanto sul letto lo accarezzo e gli sussurro che lo amo ma lui non mi risponde. Il mio povero Giulio. Il sangue gli cola dalla bocca, e i suoi occhi sono velati. Penso di avere esagerato con la polvere di vetro che ho messo nella torta.

giovedì 26 luglio 2012

Il mio vicino tirava....


Una volta avevo un vicino di casa che tirava. Si alzava la mattina e tirava, camminava per il corridoio e tirava, guardava la televisione e tirava,  cucinava e tirava, si faceva la barba e tirava, scopava con la moglie e tirava, andava al parco e tirava, andava in bagno e tirava, mi incontrava per strada e tirava. Non faceva altro nella sua vita se non tirare. Tirava, tirava e tirava. Una volta mi aveva proposto di tirare, gli ho risposto che non potevo perché dopo mi avrebbe spinto, poi sono entrato in casa,  e tirò. Qualche tempo fa la moglie gli ha messo le corna col tipo del bar di sotto, li ho visti, li ha visti. Anche in quel momento tirava. Quando la moglie è tornata a casa gli ha detto che era meglio per tutti se tirasse anche lei, così fanculo tutto; lei ha tirato. Avevano un figlio di diciotto anni, lui ancora non tirava, aspirava soltanto. La mattina quando lo incrociavo per le scale mi guardava con occhi spenti e rideva. Non ho mai capito di cosa ridesse, naturalmente dopo aspirava. Un giorno tutti e tre sono usciti di casa per andare chissà dove, lui tirava, lei no, il figlio aspirava.  Sono tornati diverse ore dopo; tutti e tre erano molto seri in faccia, lo so perché li ho incontrati in corridoio. Nessuno di loro tirava o aspirava. Non parlavano. Sono entrati in casa e ciao. Fu l’ultima volta che li vidi. Si perché mi trasferii in un’altra città.
Poco tempo dopo sono venuto a sapere che dalla loro porta si sentiva puzza di marcio. Credo che lui si fosse addormentato tirando, e loro non se ne erano accorti. Adesso la mia vicina di casa una vecchia rompipalle, che tiene in casa non so quanti gatti. Lei guarda la televisione e basta, non tira.

venerdì 9 dicembre 2011

Una Bella Giornata!


Guardalo, sta lì seduto a giocare a carte; con la mano destra tiene le carte, con la sinistra tiene la sigaretta e il brandy, non alza lo sguardo, di continuo muove il piede della gamba sinistra accavallata sull’altra. Sa di poter vincere quella partita, dopo tutto lui ha sempre vinto le sue partite. E anche adesso sa che vincerà, ha le carte giuste, ha la sua donna, i suoi amuleti al collo, ed è una così bella giornata per vincere. Il sole fa luce sui tavoli del bistrot . Sono tutti seduti lì: c’è una giovane donna con un gran cappello pieno di piume ed un elegante abito rosa, sorseggia un martini e parla con un’altra ragazza; al tavolo vicino un uomo con lunghi baffi sta leggendo un giornale, beve del vino rosso e giocherella con un tovagliolo poggiato sul tavolino. Accanto al tavolino del signore con i baffi c’è lui con le sue carte, sicuro di sè e della sua vittoria. Fa un tiro di sigaretta, butta fuori il fumo che si dissolve nella chiara luce di quella splendida giornata d’inverno. Alla fine li guarda tutti, quelli seduti lì, si, lì al suo tavolo. Li guarda e accenna loro un sorriso. Gli altri tre giocatori sono tesi e lui rimane fermo per far crescere ancora un po' la tensione; gli piace vederli soffrire e allora finge di pensare alla mossa da fare. E alla fine quelle carte che ha in mano le mette giù, gli altri restano in silenzio, lui non ride e non parla, prende i suoi soldi e si allontana con la sua donna, si dirigono al parco dove prenderanno un caldo caffè al chiosco degli abeti: oggi è una bella giornata!

venerdì 11 novembre 2011

Mr. Tambourine Man.


                                                                
Eccomi, sono qui; seduto sulla mia sedia in legno, a suonare. Sono io, sono Bob Dylan, sono io, sono Allen Ginsberg, sono io, sono Jack Kerouac, sono io, sono William Burroghs. Sono io, con la mia camicia e la canottiera bianca, sono io con il mio inseparabile cappello nero. Sono io e sono loro, sono tutti i poeti, i più grandi poeti. Sono qui questa sera, in questo locale, sono qui per raccontare delle storie, delle belle storie, a gente che vien qui per sognare, pensare al  passato e bere. In questo posto, dove si respira l'aria di un passato non troppo lontano, ma io vivo nel presente.
Sto qui a suonare con la mia chitarra sulle gambe e l’armonica al collo, il proprietario del locale mi dice qualcosa, ma con la musica no non riesco a capire bene cosa mi sussurra. È uno antico, con scarpe nuove e pantaloni da militare, barba e capelli non troppo lunghi e l’aria di chi in quei tempi c’è stato e li ha vissuti. La cameriera mi passa davanti, sorride e fa l’occhiolino: sembra una ragazza semplice, camicetta occhiali da vista in testa, occhi belli e verdi come i prati dell’Irlanda, guance rosse e  un bel seno.
                                                                                                                                 
Inizio a cantare. C’è chi beve, chi parla, chi ride, chi è girato verso di me battendo le mano sul tavolo al ritmo della musica.  È una bella serata invernale, e il freddo fuori non ha paura di sciarpe o maglioni di lana. La gente entra e beve una birra. Io sono lì seduto sulla mia sedia di legno, le mie armoniche su uno sgabello vicino, e la musica scorre dentro e fuori. Nel locale il caldo è tanto e le luci non aiutano molto. Ma in quel momento non sono lì sono altrove! In quell’istante vago in un altro tempo, cammino su un’altra terra: la mia terra lontana, piene di storie e leggende.

Sono io. Sono io la musica. Sono io il tempo. Sono io il caos. Sono io la poesia. Sono io ogni cosa. Sono io!

La serata continua, io suono e gli altri stanno lì ad ascoltare le mie note e le mie parole. Questa sera finirà, e prima che tutto si possa concludere, prima che l’ultima nota venga suonata ho una richiesta da farvi: vi chiedo di credere nella poesia, nelle parole dei grandi scrittori e poeti, vi chiedo di credere ancora un’ultima volta in loro.









venerdì 14 ottobre 2011

Amore al Circo

"Allegria, allegria miei giovani signori! Dopo tutto non è morto nessuno!" disse il clown sorridendo con la sua enorme bocca. L'uomo accanto a me estrasse una pistola e sparò al pagliaccio che stava ridendo a crepa cuore.
Poveretto, finì stramazzato a terra; il sangue che fluiva fuori si espandeva su tutto il pavimento, sembrava quasi non dovesse smettere di uscire più dalla testa sfracellata di quell'essere ormai orribile. Nessuno si mosse per fare qualcosa: osservammo con molta indifferenza la scena.
Poco dopo sentii che qualcuno mi toccava le spalle, girai la testa di scatto.
Era una bellissima donna che aveva occhi gelidi come la morte, non riuscivo a fissarli neanche per un  secondo. Poi questa spostò con la mano una ciocca che gli era caduta davanti agli occhi e mi disse:" non trovi affascinante tutto ciò?". Le feci cenno di si con la testa. Lei distolse lo sguardo e un brivido mi passò per tutto il corpo. Mi girai verso il palco. Il clown era ancora là, ma attorno a lui si erano riunite delle donne vestite di nero. Fui scosso da un altro brivido. Ebbi un attimo di paura. 
Guardai l'uomo accanto a me, stava fumando una sigaretta con la stessa calma che può avere un tizio appena sveglio. Mi sorrise, i suoi denti erano bianchi. Mi girai di nuovo, guardai l'orologio, erano le undici e ventitre. Guardai nuovamente verso il palco. Stavolta il clown non c'era più, e anche le donne in nero erano scomparse. Le luci erano spente. Mi alzai  e mi diressi all'uscita. Dietro di me sentii una voce dire: "stia attento, la vita è solo un fugace momento, la morte può essere ovunque". Andai dritto senza girarmi. 
Fuori dal tendone c'era la notte, il cielo era stellato; guardai intorno se c'era qualcuno intorno oltre a me: no, peccato. Ricominciai a camminare. Volevo tornare a casa.