venerdì 9 dicembre 2011

Una Bella Giornata!


Guardalo, sta lì seduto a giocare a carte; con la mano destra tiene le carte, con la sinistra tiene la sigaretta e il brandy, non alza lo sguardo, di continuo muove il piede della gamba sinistra accavallata sull’altra. Sa di poter vincere quella partita, dopo tutto lui ha sempre vinto le sue partite. E anche adesso sa che vincerà, ha le carte giuste, ha la sua donna, i suoi amuleti al collo, ed è una così bella giornata per vincere. Il sole fa luce sui tavoli del bistrot . Sono tutti seduti lì: c’è una giovane donna con un gran cappello pieno di piume ed un elegante abito rosa, sorseggia un martini e parla con un’altra ragazza; al tavolo vicino un uomo con lunghi baffi sta leggendo un giornale, beve del vino rosso e giocherella con un tovagliolo poggiato sul tavolino. Accanto al tavolino del signore con i baffi c’è lui con le sue carte, sicuro di sè e della sua vittoria. Fa un tiro di sigaretta, butta fuori il fumo che si dissolve nella chiara luce di quella splendida giornata d’inverno. Alla fine li guarda tutti, quelli seduti lì, si, lì al suo tavolo. Li guarda e accenna loro un sorriso. Gli altri tre giocatori sono tesi e lui rimane fermo per far crescere ancora un po' la tensione; gli piace vederli soffrire e allora finge di pensare alla mossa da fare. E alla fine quelle carte che ha in mano le mette giù, gli altri restano in silenzio, lui non ride e non parla, prende i suoi soldi e si allontana con la sua donna, si dirigono al parco dove prenderanno un caldo caffè al chiosco degli abeti: oggi è una bella giornata!

venerdì 11 novembre 2011

Mr. Tambourine Man.


                                                                
Eccomi, sono qui; seduto sulla mia sedia in legno, a suonare. Sono io, sono Bob Dylan, sono io, sono Allen Ginsberg, sono io, sono Jack Kerouac, sono io, sono William Burroghs. Sono io, con la mia camicia e la canottiera bianca, sono io con il mio inseparabile cappello nero. Sono io e sono loro, sono tutti i poeti, i più grandi poeti. Sono qui questa sera, in questo locale, sono qui per raccontare delle storie, delle belle storie, a gente che vien qui per sognare, pensare al  passato e bere. In questo posto, dove si respira l'aria di un passato non troppo lontano, ma io vivo nel presente.
Sto qui a suonare con la mia chitarra sulle gambe e l’armonica al collo, il proprietario del locale mi dice qualcosa, ma con la musica no non riesco a capire bene cosa mi sussurra. È uno antico, con scarpe nuove e pantaloni da militare, barba e capelli non troppo lunghi e l’aria di chi in quei tempi c’è stato e li ha vissuti. La cameriera mi passa davanti, sorride e fa l’occhiolino: sembra una ragazza semplice, camicetta occhiali da vista in testa, occhi belli e verdi come i prati dell’Irlanda, guance rosse e  un bel seno.
                                                                                                                                 
Inizio a cantare. C’è chi beve, chi parla, chi ride, chi è girato verso di me battendo le mano sul tavolo al ritmo della musica.  È una bella serata invernale, e il freddo fuori non ha paura di sciarpe o maglioni di lana. La gente entra e beve una birra. Io sono lì seduto sulla mia sedia di legno, le mie armoniche su uno sgabello vicino, e la musica scorre dentro e fuori. Nel locale il caldo è tanto e le luci non aiutano molto. Ma in quel momento non sono lì sono altrove! In quell’istante vago in un altro tempo, cammino su un’altra terra: la mia terra lontana, piene di storie e leggende.

Sono io. Sono io la musica. Sono io il tempo. Sono io il caos. Sono io la poesia. Sono io ogni cosa. Sono io!

La serata continua, io suono e gli altri stanno lì ad ascoltare le mie note e le mie parole. Questa sera finirà, e prima che tutto si possa concludere, prima che l’ultima nota venga suonata ho una richiesta da farvi: vi chiedo di credere nella poesia, nelle parole dei grandi scrittori e poeti, vi chiedo di credere ancora un’ultima volta in loro.









venerdì 14 ottobre 2011

Amore al Circo

"Allegria, allegria miei giovani signori! Dopo tutto non è morto nessuno!" disse il clown sorridendo con la sua enorme bocca. L'uomo accanto a me estrasse una pistola e sparò al pagliaccio che stava ridendo a crepa cuore.
Poveretto, finì stramazzato a terra; il sangue che fluiva fuori si espandeva su tutto il pavimento, sembrava quasi non dovesse smettere di uscire più dalla testa sfracellata di quell'essere ormai orribile. Nessuno si mosse per fare qualcosa: osservammo con molta indifferenza la scena.
Poco dopo sentii che qualcuno mi toccava le spalle, girai la testa di scatto.
Era una bellissima donna che aveva occhi gelidi come la morte, non riuscivo a fissarli neanche per un  secondo. Poi questa spostò con la mano una ciocca che gli era caduta davanti agli occhi e mi disse:" non trovi affascinante tutto ciò?". Le feci cenno di si con la testa. Lei distolse lo sguardo e un brivido mi passò per tutto il corpo. Mi girai verso il palco. Il clown era ancora là, ma attorno a lui si erano riunite delle donne vestite di nero. Fui scosso da un altro brivido. Ebbi un attimo di paura. 
Guardai l'uomo accanto a me, stava fumando una sigaretta con la stessa calma che può avere un tizio appena sveglio. Mi sorrise, i suoi denti erano bianchi. Mi girai di nuovo, guardai l'orologio, erano le undici e ventitre. Guardai nuovamente verso il palco. Stavolta il clown non c'era più, e anche le donne in nero erano scomparse. Le luci erano spente. Mi alzai  e mi diressi all'uscita. Dietro di me sentii una voce dire: "stia attento, la vita è solo un fugace momento, la morte può essere ovunque". Andai dritto senza girarmi. 
Fuori dal tendone c'era la notte, il cielo era stellato; guardai intorno se c'era qualcuno intorno oltre a me: no, peccato. Ricominciai a camminare. Volevo tornare a casa.

sabato 17 settembre 2011

Passeggiata Notturna




La musica suona fuori dal locale, la luce è soffusa, i lampioni illuminano solo parte del marciapiede, un uomo, solo, vestito di nero, attraversa la strada , sta tornando da casa della madre,  adesso è diretto verso un vicolo  buio, cammina a passo spedito. Tac tac tac. Il rumore delle sue scarpe echeggia per tutta la piazza. Si volta un attimo per vedere se c’è qualcuno lì vicino , ma non c’è nessuno che lo possa riconoscere, e tutte le finestre delle case sono chiuse e con le luci spente.

Tac, un altro passo verso il vicolo buio, in lontananza il rumore di una macchina. L’uomo si ferma, in una angolo buio per non farsi vedere, la macchina passa avanti. Wrooom! Il rombo del motore ora è lontano. L’uomo esce dall’ombra e continua a camminare a passo lento, un piede avanti l’altro. Tac….tac….tac. Colpisce con una piccola pietra, con la scarpa nera, di pelle. La pietra rotola verso il marciapiede e lì si ferma. L’uomo la guarda un attimo, pensa a qualcosa, ricomincia subito a camminare. Tac…tac.
È tutto buio alcuni lampioni si sono spenti, l’uomo ne è contento, il buio è il suo compagno più fidato. Si toglie la giacca di dosso, ha caldo, prende un fazzoletto dalla tasca e si asciuga la fronte. Non sa ancora chi incontrerà in quel vicolo buio. Ma dalla telefonata aveva capito che si trattava di una donna, o forse la voce era stata alterata. Non lo sa e non ci pensa più. Tac… tac.  Un altro passo lo avvicina a quel vicolo, sente ridere , è una giovane coppia che si avvicina a lui, non sa che fare, abbassa il cappello per coprire un po’ il volto, ma i due non badano alla sua presenza e si siedono su una panchina lì vicino, non sanno che è lì.  I due si guardano e si baciano, l’uomo si tranquillizza e va avanti, ormai è quasi arrivato, suda ancora, ma sente che il cuore inizia a battere più forte. Bumbumbum. Va veloce. Perché? Non ne ha motivo, ma forse dentro di se sa che qualcosa succederà. Ormai è quasi arrivato, manca poco. Bum tac bum tac bum, è a due passi dal vicolo, è vicino a scoprire cosa succederà tra qualche minuto. Pochi istanti ancora. Il lampione a cui è vicino si accende e si spegne, sta per entrare nel vicolo. Li sente, sono dei passi che avanzano nel vicolo, ora si sono fermati. Tac… tac. Si blocca per ascoltare se c’è qualcuno, niente, va avanti, entra nel vicolo. Il buio è totale, ma gli è amico. Bum…bum, tac. Un ultimo passo e un insegna blu si accende nel vicolo, non legge bene cosa c’è scritto, si avvicina ancora un po’. Ora vede bene l’insegna dice BAD, il rumore della corrente elettrica e degli insetti che girano in torno alla scritta lo infastidisce. Ecco un ombra che si allunga verso di lui. Mette la giacca, sente un po’ di freddo adesso. Tac…tac.  Non sono i suoi passi. L’ombra è sempre più vicina, e lui rimane lì, fermo per capire, non vede nessuno. Bum…bum…bum. I battiti del cuore sono più lenti. Aleggia uno starno silenzio. La luce di una sigaretta accesa nel buio. L’uomo cerca di vedere nell’oscurità. Un braccio coperto da un lungo guanto nero esce dall’ombra. BAM BAM! L’uomo guarda con gli occhi spalancati chi gli sta davanti, cade a terra e il sangue scivola dal suo corpo formano una pozzanghera. Ogni cosa gira, la musica del locale in fondo al vicolo continua a suonare, nessun amante è più seduto sulla panchina fredda. Nessuna macchina passa più per quella strada. Il braccio coperto dal guanto è ancora lì, del fumo esce dalla canna della pistola. Un altro tiro di sigaretta. La luce dell’insegna si spegne. Nessuno nel buio della notte ha sentito qualcosa. Il silenzio regna nel vicolo. BAM! Nell’oblio della notte la morte si è fatta viva.


venerdì 5 agosto 2011

A Istanbul trovai la vita

Camminavo Lungo il Bosforo e guardando verso l'orizzonte notai l'alzarsi di una nebbiolina, il buon odore del mare mi accompagnava ogni volta che passeggiavo lì vicino. 
Ero arrivato da  un paio di giorni a Istanbul e già sentivo di essere parte di quella città; tutta quella gente per le strade, la confusione ai bazar, le urla dei mercanti,il caldo della città; i vicoli nascosti che durante la notte si illuminavano, e si riempivano di gente, di viaggiatori seduti in divano coloratissimi. I narghilè erano poggiati sui tavoli, e mentre fumavano quei tabacchi profumati sorseggiavano anche del tè caldo alla mela, servito dentro piccoli bicchieri di vetro.
Di notte, uscendo in centro, le strade erano piene di giovani, e ai lati numerosi ristornati costruiti su più piani, dove i cibi serviti erano delle delizie che in nessun altro posto avrei potuto assaggiare,erano pieni di gente. E presi persino l'abitudine di alzarmi presto la mattina e di andare a fare una passeggiata lungo il Bosforo; lì c'erano sempre molti turisti pronti a salire sul battello, per ammirare da lontano le meraviglie di questa città.  
E io rimanevo lì al centro di quel vortice di strabiliante bellezza. 

Man mano imparai a dire qualche parola in turco, dato che in quel paese non si parlavano altre lingue, meno il francese, e per mia sfortuna non avevo mai studiato francese. Avevo affittato una casa vicino al Bazar dei libri antichi, e data la mia grande passione per il libri  non riuscì a resistere alla tentazione di fare acquisti in quel posto; solo l'odore di vecchi libri mi tratteneva lì per ore. Feci amicizia con uno dei librai, col quale mi soffermavo a discutere qualunque argomento. Il tipo era uno occhialuto, rugoso in faccia, con sguardo furbo, e aveva la risata sempre pronta. Mi raccontò che anni addietro era un insegnante, e che dopo essere andato in pensione era intenzionato a scrivere un libro sulla sua città, ma finì per venderli i libri. Così quel luogo divenne uno dei posti da me più frequentati. 


Le prime settimane girai la città quasi per intero e visitai musei , palazzi, e moschee, e ne rimasi catturato per la loro bellezza. Inizia a frequentare un Hammam, uno dei più antichi della città, il Çemberlitaş Hamamı; ci   andavo due volte a settimana, quel posto era davvero unico, un luogo  dove i pensieri rimanevano tra le strade della città; all'interno dello splendido Camekan il vapore si alzava da terra, tutto quel caldo entrava dentro la pelle, e l'inutilità dell'acqua fredda il cui effetto durava pochi secondi, ma sopratutto il silenzio quasi sacro di quel posto lo rendeva magico.

Col passare del tempo trovai anche lavoro per una rivista di viaggi, dovevo girare la città e scattare un pò di foto e ogni tanto potevo scrivere anche qualche articolo, che per fortuna era tradotto da un esperto di lingue col quale strinsi amicizia. Mi adeguai anche alla vita di quella città, ai suoi abitanti e alle loro abitudini. E frequentando librerie, e caffè trovai anche qualcuno con cui stare, nessun occidentale, solo gente di Istanbul. 
Trovai così un motivo al perchè io dovevo restare a Istanbul, ormai diventata la mia nuova casa, un posto in cui avevo avuto la possibilità di ricominciare una nuova vita. 

giovedì 4 agosto 2011

Tra il Bianco e il Nero

Ho vissuto da sempre in questa grande villa di campagna, era di un vecchio zio di mia mamma; con i miei ci siamo trasferiti in questo posto quando avevo circa sei anni. Parte della villa è circondata da un bosco molto fitto, e al centro del bosco c'è un lago; d'inverno è ghiacciato, quando ero piccolo andavo a pattinarci, e quando veniva il caldo andavamo lì a farci i bagni. Ma ultimamente non vado più, per me è diventato troppo lontano e credo che la strada per arrivarci non ci sia più. L'ultima volta che ci sono stato ricordo di essermi fatto un bagno, eravamo una bella compagnia allegra. O si in estate veniva molta gente qui, e i festeggiamenti non mancavano,  devo dire sempre ben riusciti, e ogni volta era una festa di colori, una gioia per gli occhi. La villa al sua interno non era da meno, sempre piena di luce, allegria, certo qualche volta si litigava, ma si tornava a sorridere presto; e persino d'inverno era bella: la pioggia, il camino, la grande libreria del salotto. 
Be comunque dicevo di aver fatto un bagno lì, e fu proprio l'ultimo. Le uniche immagini che mi tornano alla mente sono quelle in cui nuoto fino alla riva e lì mi addormento. Al mio risveglio, nel mio letto, non c'era nessuno. Girai ogni stanza, ma tutti era scomparsi, genitori, amici, servitù. Ero rimasto solo io, e capirete la mia iniziale gioia di poter fare quello che volevo; ma presto mi resi conto che la mia solitudine non era una buona compagna. La noia mi portò a non uscire più di casa, e col passare degli anni, mi rendevo conto di una cosa: i colori andavano sfumando, man mano tutto diventava bianco e nero. Anche io ero in bianco e nero, un pò come in quei film che proiettavano al cinematografo. Non avevo neanche paura di questo cambiamento, era tanta la noia che non diedi importanza alla cosa. Le stagioni stesse quasi non si distinguevano più, non soffrivo ne il caldo ne il freddo. Allora capì di essere sospeso nel tempo, anche  la notte e il giorno erano scoparsi, solo una luce fredda entrava dalle enormi finestre della villa. 
Iniziai a contare i secondi, i minuti le ore, almeno per trovare qualcosa da fare, e per avere un tempo mio, che magari non esisteva, ma almeno mi permetteva di riprendere vecchie abitudini, di fare qualcosa. Un giorno però persi il conto e così ancora una seconda volta mi ritrovai fuori dal tempo. Ricominciai a girovagare, ad annoiarmi. Ma in quell'oblio in cui mi trovavo ormai da tempo, anche se il tempo più non esisteva, avevo preso l'abitudine di andarmi a sedere sul bracciolo di una delle poltrone del salotto. Lì  rimanevo a fissare l'esterno della casa; la luce che veniva da fuori però mi impediva di vedere bene le piante del giardino, e cercavo di immaginarle: belle, verdi, rigogliose, gli alberi pieni foglie con i loro frutti appesi ai rami esili, e i fiori del giardino, colorati, di rosso, arancione, giallo; cercavo anche di immaginare il loro odore e di ricordarlo, e quasi riuscivo a sentirlo ma spariva subito. Solo sensazioni e niente altro.
Quell'abitudine non l'ho ancora persa, anzi sto ancora lì seduto, a fissare nel vuoto un meraviglioso giardino immaginario; e mentre continuo a sognare le bellezze del mondo esterno tutto intorno a me è diventato una vecchia pellicola in bianco e nero, e io non riesco più ad uscirne.

Quelly del Penny Market!



Ho scattato queste foto circa due anni fa mentre mi trovavo a Monaco di Baviera, mi misi a sedere su una scalinata.
E lì con la macchina fotografica iniziai a scattare velocemente delle foto alla gente che passava, solo che non feci caso al fatto che il soggetto, casualmente, era l'insegna del Penny Market. 
E adesso immagino quelle persone passare di lì e fermarsi  per chiacchierare ogni giorno,  e c'è chi arriva con una bicicletta, chi ha un gelato in mano e chi in modo originale indossa una maglietta con gli stessi colori dell'insegna, tutti con storie da raccontare!

Un immagine per ricordare, una per viagiare una per vivere

Inizio questo blog con l'intento di  rendere pubbliche le foto da me scattate, in questi anni e che scatterò nel futuro, sperando anche di poter suscitare emozione, o magari qualche ricordo per chi le guarda. Magari una foto sarà utile per discutere, denunciare situazioni, e farle conoscere. Quindi oltre a mostrare immagini , voglio creare movimento interessandomi a faccende pubbliche, sperando di riuscire a dare qualcosa a chiunque ne sia interessato.
Per ora mi soffermerò a pubblicare foto di viaggi e della mia terra, più in là vedremo!


Moikan!