Camminavo Lungo il Bosforo e guardando verso l'orizzonte notai l'alzarsi di una nebbiolina, il buon odore del mare mi accompagnava ogni volta che passeggiavo lì vicino.
Ero arrivato da un paio di giorni a Istanbul e già sentivo di essere parte di quella città; tutta quella gente per le strade, la confusione ai bazar, le urla dei mercanti,il caldo della città; i vicoli nascosti che durante la notte si illuminavano, e si riempivano di gente, di viaggiatori seduti in divano coloratissimi. I narghilè erano poggiati sui tavoli, e mentre fumavano quei tabacchi profumati sorseggiavano anche del tè caldo alla mela, servito dentro piccoli bicchieri di vetro.
Di notte, uscendo in centro, le strade erano piene di giovani, e ai lati numerosi ristornati costruiti su più piani, dove i cibi serviti erano delle delizie che in nessun altro posto avrei potuto assaggiare,erano pieni di gente. E presi persino l'abitudine di alzarmi presto la mattina e di andare a fare una passeggiata lungo il Bosforo; lì c'erano sempre molti turisti pronti a salire sul battello, per ammirare da lontano le meraviglie di questa città.
E io rimanevo lì al centro di quel vortice di strabiliante bellezza.
Man mano imparai a dire qualche parola in turco, dato che in quel paese non si parlavano altre lingue, meno il francese, e per mia sfortuna non avevo mai studiato francese. Avevo affittato una casa vicino al Bazar dei libri antichi, e data la mia grande passione per il libri non riuscì a resistere alla tentazione di fare acquisti in quel posto; solo l'odore di vecchi libri mi tratteneva lì per ore. Feci amicizia con uno dei librai, col quale mi soffermavo a discutere qualunque argomento. Il tipo era uno occhialuto, rugoso in faccia, con sguardo furbo, e aveva la risata sempre pronta. Mi raccontò che anni addietro era un insegnante, e che dopo essere andato in pensione era intenzionato a scrivere un libro sulla sua città, ma finì per venderli i libri. Così quel luogo divenne uno dei posti da me più frequentati.
Ero arrivato da un paio di giorni a Istanbul e già sentivo di essere parte di quella città; tutta quella gente per le strade, la confusione ai bazar, le urla dei mercanti,il caldo della città; i vicoli nascosti che durante la notte si illuminavano, e si riempivano di gente, di viaggiatori seduti in divano coloratissimi. I narghilè erano poggiati sui tavoli, e mentre fumavano quei tabacchi profumati sorseggiavano anche del tè caldo alla mela, servito dentro piccoli bicchieri di vetro.
Di notte, uscendo in centro, le strade erano piene di giovani, e ai lati numerosi ristornati costruiti su più piani, dove i cibi serviti erano delle delizie che in nessun altro posto avrei potuto assaggiare,erano pieni di gente. E presi persino l'abitudine di alzarmi presto la mattina e di andare a fare una passeggiata lungo il Bosforo; lì c'erano sempre molti turisti pronti a salire sul battello, per ammirare da lontano le meraviglie di questa città.
E io rimanevo lì al centro di quel vortice di strabiliante bellezza.
Man mano imparai a dire qualche parola in turco, dato che in quel paese non si parlavano altre lingue, meno il francese, e per mia sfortuna non avevo mai studiato francese. Avevo affittato una casa vicino al Bazar dei libri antichi, e data la mia grande passione per il libri non riuscì a resistere alla tentazione di fare acquisti in quel posto; solo l'odore di vecchi libri mi tratteneva lì per ore. Feci amicizia con uno dei librai, col quale mi soffermavo a discutere qualunque argomento. Il tipo era uno occhialuto, rugoso in faccia, con sguardo furbo, e aveva la risata sempre pronta. Mi raccontò che anni addietro era un insegnante, e che dopo essere andato in pensione era intenzionato a scrivere un libro sulla sua città, ma finì per venderli i libri. Così quel luogo divenne uno dei posti da me più frequentati.
Le prime settimane girai la città quasi per intero e visitai musei , palazzi, e moschee, e ne rimasi catturato per la loro bellezza. Inizia a frequentare un Hammam, uno dei più antichi della città, il Çemberlitaş Hamamı; ci andavo due volte a settimana, quel posto era davvero unico, un luogo dove i pensieri rimanevano tra le strade della città; all'interno dello splendido Camekan il vapore si alzava da terra, tutto quel caldo entrava dentro la pelle, e l'inutilità dell'acqua fredda il cui effetto durava pochi secondi, ma sopratutto il silenzio quasi sacro di quel posto lo rendeva magico.
Col passare del tempo trovai anche lavoro per una rivista di viaggi, dovevo girare la città e scattare un pò di foto e ogni tanto potevo scrivere anche qualche articolo, che per fortuna era tradotto da un esperto di lingue col quale strinsi amicizia. Mi adeguai anche alla vita di quella città, ai suoi abitanti e alle loro abitudini. E frequentando librerie, e caffè trovai anche qualcuno con cui stare, nessun occidentale, solo gente di Istanbul.
Trovai così un motivo al perchè io dovevo restare a Istanbul, ormai diventata la mia nuova casa, un posto in cui avevo avuto la possibilità di ricominciare una nuova vita.
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